Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 06 luglio 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Sclerosi Multipla: 5STS e 30CST devono essere inclusi nei test di valutazione periodica. Le due prove neurologiche 5STS (5-times sit-to-stand) e 30CST (30s chair stand test), in grado di rilevare miglioramenti, peggioramenti e comparsa di segni di altre malattie neurologiche, sono state sottoposte a verifica da Andrea Polidori e colleghi della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) e del Servizio di Riabilitazione dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM). Sono stati inclusi nel campione 38 pazienti con punteggio EDSS inferiore a 6.5 e valutati con 5STS, 30CST, T25-FW (timed 25 foot walk); il re-test dopo 5 giorni con operatore esterno che non conosceva i pazienti (blind re-test), e l’ultima valutazione dopo 12 sessioni di fisioterapia.

I due test hanno confermato sensibilità ed affidabilità: sono semplici, sicuri, facili da somministrare ed eseguire, per questo si raccomanda di adottarli per la valutazione periodica dei pazienti affetti da sclerosi multipla. [Cfr. Polidori A., et al. Life (Basel) 14 (6): 703, 2024].

 

TMEM16F aggrava le taupatie neurodegenerative. Ricordiamo che l’elenco delle taupatie include la paralisi sopranucleare progressiva, la degenerazione cortico-basale, la malattia di Pick e la maggior parte dei casi di malattia di Alzheimer, e dunque le evidenze sul ruolo di TMEM16F trovate dal gruppo di Mario Zubia investono un ampio spettro di interesse clinico. TMEM16F è risultata mediare un’aberrante esposizione alla fosfatidil-serina nella fase iniziale di taupatia e degenerazione. I risultati dello studio suggeriscono che la riduzione farmacologica dell’attività di TMEM16F nei neuroni potrebbe mitigare il processo patologico neurodegenerativo. [Cfr. Proceedings of the National Academy of Sciences USAAOP doi: 10.1073/pnas.2311831121, 2024].

 

Nella donna un importante rapporto tra ormoni riproduttivi e iperintensità della sostanza bianca. La risonanza magnetica cerebrale 3T ha consentito a Rebecca Thurston e colleghi di esplorare il rapporto tra iperintensità della sostanza bianca telencefalica, spia di patologia dei piccoli vasi, e azione di estrone (E1), estradiolo (E2) ed FSH. I risultati hanno evidenziato l’importanza di E2 ed FSH per la salute cerebrovascolare della donna. [Cfr. Alzheimer & DementiaAOP doi: 10.1002/alz.14093, July 1, 2024].

 

I ricercatori dal punto di vista dei pipistrelli. Cosa si prova a essere un pipistrello? Recitava il titolo del più famoso articolo di Thomas Nagel, il filosofo della mente statunitense che voleva ribadire l’irriducibilità del nucleo di esperienza soggettiva nella concezione della coscienza: conoscere i circuiti e i dettagli molecolari della funzione di controllo del comportamento di un animale non vuol dire conoscerne la coscienza. Forse un primo passo per cercare di guardare il mondo con gli occhi e il cervello del pipistrello lo ha compiuto uno studio che ha indagato il modo in cui dei ricercatori sono rappresentati nell’ippocampo dei pipistrelli.

Snyder e colleghi hanno compiuto una registrazione neurofisiologica senza fili di neuroni ippocampali di pipistrelli frugivori egiziani, mentre erano in presenza di ricercatori. Nei pipistrelli in volo, molti neuroni modulavano la loro attività a seconda dell’identità delle persone presenti nella sede del loro atterraggio; in quelli fermi, molti neuroni veicolavano informazioni spaziali significative circa l’identità e la posizione di persone che attraversavano il loro campo di orientamento. [Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01690-8, 2024].

 

La malattia di Alzheimer è il Diabete di Tipo 3? Una rassegna critica fornisce la risposta. La più alta frequenza di sviluppo della malattia di Alzheimer nei diabetici e i meccanismi molecolari che legano il diabete di tipo 2 ai processi fisiopatologici della demenza neurodegenerativa più grave e diffusa al mondo, hanno indotto a formulare l’ipotesi di un’eziologia genetico-ambientale di una forma di diabete simile a quella di tipo 2 ma inesorabilmente sfociante nella neuropatologia ad esito infausto. Una rassegna critica condotta da Yong Peng e colleghi ha analizzato la relazione tra insulino-resistenza, β-amiloide, stress ossidativo, ipotesi mitocondriale, fosforilazione anomala della proteina tau, risposta infiammatoria, alti livelli di glucosio ematico, neurotrasmettitori, vie di segnalazione, alterazioni vascolari e reali similarità tra le due malattie. Non vi sono elementi per giungere alla conclusione proposta in forma interrogativa nel titolo, ma è opportuno che i clinici studino le maggiori acquisizioni in termini di meccanismi molecolari, perché potrebbero suggerire nuove misure e strategie efficaci di prevenzione e trattamento da affiancare a quelle già adottate. [Cfr. Peng Y., et al. Ageing Res Rev. AOP doi: 10.1016/j.arr.2024.102383, June 30, 2024].

 

Sclerosi Tuberosa di Bourneville: necessità di efficace controllo delle crisi epilettiche. La facomatosi descritta da Bourneville e oggi denominata “Complesso della Sclerosi Tuberosa”, nei pazienti che sopravvivono oltre l’adolescenza, fa registrare un marcato e spesso grave declino cognitivo non necessariamente proporzionato alla patologia dell’encefalo. Lais Faria Masulk Cardozo e colleghi dell’Università Federale di Paranà in Brasile hanno studiato clinicamente e mediante definizione del profilo neuropsicologico 62 pazienti di età dai 3 ai 38 anni. Una storia clinica di disturbi comiziali era presente nel 90.3% (56 pazienti), mentre il 50% (31 pazienti) presentava già disabilità intellettiva. Lo studio ha rilevato l’associazione dell’entità del deficit nei domini dello sviluppo cognitivo e del declino cognitivo nell’età maggiore con il grado di manifestazione clinica del disturbo epilettico, evidenziando l’importanza di una diagnosi precoce e di un controllo efficace delle crisi. [Cfr. Cardozo L. F. M., et al. Arquivos de Neuro-Psiquiatria 82 (7): 1-8, July 2, 2024].

 

Uno studio su donne turche pone in relazione la masturbazione con la salute sessuale. Aysu Yidiz Karaahmet e Fatma Sule Bilgiç della Haliç University di Istambul hanno studiato il rapporto tra salute sessuale e durata e frequenza della masturbazione in 921 giovani donne dai 18 ai 25 anni, concludendo che più alto è il livello di durata, intensità e frequenza della masturbazione tanto maggiore è la salute sessuale, giudicata fra l’altro attraverso il numero e le caratteristiche degli orgasmi e la competenza in materia erotica.

Il giudizio non è basato sul criterio medico di salute corrispondente allo stato fisiologico di organi, tessuti, apparati e dell’organismo in toto, ma agli standard di prestazione sessuale definiti sulla base ideologica che separa l’attività sessuale dalla fisiologia riproduttiva e la considera sana, se espressa secondo i modelli di soddisfazione affermati nella cultura popolare degli ultimi decenni. Attraverso la sessuologia (sex medicine) si fa passare un modello della sottocultura recente, che ha trasformato una funzione fisiologica in un mezzo per produrre artificiosamente piacere (attivazione deliberata dell’amplificazione VTA-accumbens) secondo uno standard di “consumo” trattato politicamente come un “diritto civile”. [Cfr. J Sex Med – AOP doi: 10.1093/jsxmed/qdae059, 2024].

 

Siegelbaum sul ruolo di CA2 nel distinguere amici da estranei codificando la familiarità.  Ci siamo già occupati dell’identificazione della regione CA2 dell’ippocampo quale sede di importanti processi svolti all’interno di una rete di connessioni che consente di distinguere individui della propria specie di lunga frequentazione da estranei, mai incontrati in precedenza. In particolare, abbiamo recensito il lavoro sperimentale più recente, pubblicato quest’anno su Neuron. Ora, a qualche mese di distanza dalla scoperta dei codici di CA2 che distinguono un fratello da uno straniero, Siegelbaum, il più autorevole dei ricercatori impegnati in questo campo di studi, ha proposto all’attenzione della comunità neuroscientifica, una riflessione sul significato della nuova acquisizione, che qui riportiamo in sintesi.

Steven Siegelbaum, allievo e poi collaboratore alla Columbia University di Eric Kandel, Premio Nobel per gli studi sui meccanismi molecolari della memoria, da coautore di quello studio ha discusso in questi giorni del significato neurofisiologico della codifica della familiarità da parte della regione ippocampale CA2.

Ha innanzitutto osservato che il contrassegno ippocampale per gli estranei è più semplice di quello che caratterizza i vecchi amici, verosimilmente per la differenza nella quantità di memoria associata. Secondo lui gli elementi dei neuroni di CA2 che consideriamo codifiche associate all’identità fisionomica delle persone sono delle chiavi per la rievocazione di tempi, luoghi, fatti e circostanze della nostra esperienza di ciascuna persona. E osserva che questa regione dell’ippocampo sembra essere specializzata proprio nelle memorie legate alle relazioni, ai rapporti fra gli individui della stessa specie. Ricordiamo in proposito che proprio un allievo di Siegelbaum una decina di anni fa contribuì all’identificazione di questo ruolo ippocampale realizzando, con un metodo genetico, il silenziamento di CA2 nel topo: senza l’apporto di CA2 i topi non riuscivano più a distinguere tra un estraneo e un compagno di stabulazione dalla nascita.

Siegelbaum sottolinea che CA2 si è rivelata importantissima per la memoria sociale, ma non interferisce con la familiarità per gli oggetti inanimati, i luoghi, ecc., richiamando così l’attenzione sulla sua specificità interindividuale, già nel topo. Poi racconta di come si è giunti, non senza difficoltà, a individuare il ruolo di questa regione ippocampale. Il primo ragionamento è stato questo: registriamo l’attività elettrica contemporanea dei neuroni di CA2 e di altri neuroni per confronto durante l’esperienza di topi che interagiscono prima con due estranei, poi con due conosciuti dalla nascita e, infine, con uno estraneo e un compagno di stabulario, e avremo dei correlati specifici che ci orienteranno. Ma i risultati degli esperimenti furono deludenti. Allora, con l’apporto della studentessa Lara Boyle, misero a punto un sistema di rilevazione più sensibile, con mezzi tecnici più sofisticati, che facevano affidamento su un miniscopio e su una proteina rilevatrice di Ca2+ di alta sensibilità. In tal modo ebbero un apparato di registrazione in vivo per studiare l’attività di 50-60 neuroni alla volta, durante le interazioni dei topi definite dal protocollo sperimentale. Ma i rilievi presentavano dei rebus irrisolvibili di interpretazione.

La svolta si è avuta nel 2020, quando al team si sono uniti il neuroscienziato Stefano Fusi e l’allievo post-dottorato Lorenzo Posani, che hanno realizzato un decodificatore lineare (linear decoder software) in grado di ricondurre l’intricato ammasso di dati a pattern neurali interpretabili. In questo modo sono apparse evidenti differenze tra i correlati dell’interazione con estranei o con vecchi conoscenti, ed è stato possibile analizzare il dettaglio dei dati. Negli esperimenti, per presentare un estraneo non rassomigliante in nulla ai topi familiari, si è impiegato un altro roditore, ossia il furetto: la decodifica lineare consente di riconoscere immediatamente l’interazione con gli estranei. Lo stesso Stefano Fusi, commentando lo studio con Siegelbaum su richiesta di Ingrid Wickelgren di Scientific American, ha rilevato che il cervello del topo usa “un codice molto speciale” per rappresentare l’estraneo.

Di fatto, il decodificatore ha consentito di scoprire dei contrassegni specifici per i concetti di “novità” e “familiarità”, indipendentemente dalle identità dei roditori in questione. Infatti, è stato possibile tenere distinta l’elaborazione dell’identità, e si è costatato che il modo in cui il cervello rileva l’identità e distingue fra estranei è differente dal modo in cui riconosce l’identità e distingue fra soggetti familiari. Ad esempio, spiega Siegelbaum, per i topi familiari il codice neurale di identità sociale dipende molto di più da elementi di luogo, fra le altre specificazioni che arricchiscono la simbolizzazione rispetto a quella degli estranei. Stefano Fusi ha anche sottolineato che i principi emersi dall’analisi della decodifica possono informare meglio i sistemi di machine learning.

Questo, a nostro avviso, è un punto molto importante: a differenza dell’intelligenza naturale espressione della fisiologia del cervello, quella artificiale (AI), dipendente da un machine learning system, non può continuare a imparare semplicemente esponendola ai dati. Noi di fatto continuiamo ad apprendere mediante l’esperienza per tutta la vita, mentre il training dei sistemi artificiali richiede attenzione e studio dei modi da impiegare man mano che accumulano conoscenza, perché si corre il rischio della catastrophic interference, come la chiamano gli esperti di AI, o catastrophic forgetting, ossia “dimenticanza catastrofica”, come è stata ribattezzata dai media americani: un processo consistente nella perdita per interferenza di tutta l’informazione necessaria al funzionamento della rete. Secondo Stefano Fusi le nuove acquisizioni su come il cervello animale codifica l’informazione sociale potrebbero produrre nuove idee per risolvere il problema dell’interferenza catastrofica.

Abbiamo apprezzato molto che Siegelbaum abbia sottolineato che la funzione di codifica delle informazioni sociali relative a un individuo, che per esigenze di sintesi è stata attribuita esclusivamente alla regione CA2 dell’ippocampo, in realtà è svolta grazie alle interazioni con numerose altre aree, in un processo neurofunzionale la cui configurazione complessiva è ancora lontana dall’essere individuata. Il nostro apprezzamento è dovuto al fatto che, dopo la nostra presentazione dello studio in Italia, abbiamo notato presso la comunità neuroscientifica internazionale la tendenza da parte di molti, nei commenti sulle riviste, a ragionare in chiave localizzazionista, come se l’attribuzione per metonimia a CA2 della funzione di una rete non fosse dettata da necessità, ma stesse a indicare un’eccezione alle regole di organizzazione funzionale dell’encefalo che da decenni hanno dissolto ogni illusione iper-semplificatrice. [Fonti: Neuron, Scientific American, BM&L-Italia, luglio 2024].

 

I casi irrisolti di scrittura inesistente: il diavolo, l’inconscio e gli stati di trances quali autori. L’esempio più noto e impressionante, perché si può ancora costatare de visu, è la lettera scritta dal diavolo in persona, in presenza di suor Maria Crocifissa della Concezione in un giorno di agosto del 1676. La narrazione del singolare evento non è rimasta confinata agli atti del processo di beatificazione della religiosa, ma ha avuto una sua memoria letteraria: Tomasi di Lampedusa, nel suo celebre romanzo Il Gattopardo, fa menzionare suor Maria Crocifissa dalla Beata Corbera, mentre è narrato ne I Gattopardi di Donnafugata[1] l’episodio in cui la religiosa vede la sua cella riempirsi di “una truppa numerosa d’Inferno”, che le chiede di scrivere una lettera alla Divina Giustizia accusandola di eccessiva misericordia e, al suo rifiuto, vede un demonio porgere una penna a un altro diavolo, il quale verga lo scritto che ancora oggi si può leggere e studiare.

Escludendo per ragioni intuitive due possibilità estreme, ossia che la narrazione riportata da testimoni al processo di beatificazione sia inventata di sana pianta o che uno spirito infernale disincarnato abbia potuto far così diligente uso di penna e calamaio, non resta che seguire la pista dei linguisti contemporanei e considerare la stessa Maria Crocifissa autrice dell’articolato testo epistolare. Secondo il racconto, i diavoli avevano fatto visita alla suora due volte: al mattino, scrivendo il memoriale, e al pomeriggio, aggiungendo due capitoli e cercando di costringere la santa donna a firmare; in particolare, è il demonio scrivano che le ordina di firmare perché il documento acquisti valore presso l’Onnipotente. “E al rifiuto di lei, indispettito, le annerì, prima di andarsene, metà del viso con l’inchiostro; accorsa, la badessa trovò Crocifissa con la lettera ancora sotto la mano, la penna e il calamaio sulle ginocchia, apparentemente «alienata de’ sensi»”[2].

Su questa base, i linguisti contemporanei hanno attribuito alla stessa suora la redazione del testo epistolare.

La lettera demoniaca è composta secondo lo stile del tempo, per ciò che riguarda l’impaginazione del testo e le formule di apertura e chiusura. Leggiamo in Giorgio Raimondo Cardona: “… le parole diaboliche sono scritte in un alfabeto di invenzione, di impianto piuttosto semplice, ma complicate a volontà con l’aggiunta di occhielli, riccioli, punti. L’accuratezza e la faticosità del tracciato escludono che la lettera sia stata scritta in stato di trance; i vari caratteri, tutti differenti tra loro, mostrano di essere stati costruiti uno per uno, sul momento”[3].

Questo è il punto: i linguisti specializzati nello studio di testi scritti in stato di coscienza paradossa escludono che un lavoro simile possa essere compiuto in trance, ma cosa ci dice al riguardo la competenza neuroscientifica?

Sulla base delle conoscenze attuali è facile rilevare l’origine dell’idea che la lettera possa essere stata scritta dalla stessa Maria Crocifissa: si è assimilato il fenomeno della glossolalia in stato di coscienza ipnotica, ossia il parlare lingue apparentemente sconosciute, e di fatto costituite da neologismi, all’aver creato una scrittura nuova. Ma è un errore questo accostamento, perché nel fenomeno glossolalico i vocaboli rapidamente articolati in condizione di semi-incoscienza sono prodotti per sintesi da un processo cerebrale automatico e si rivelano, nella massima parte dei casi, privi di significato; al contrario, qui si tratta di aver inventato un codice alfabetico diverso e averlo impiegato per scrivere un testo lungo e impegnativo. È vero che il punto cruciale è sembrato a molti spiegare con un disturbo psichico della suora l’apparizione dei diavoli, ma uno dei pochi disturbi che potrebbe conciliare una rappresentazione per allucinazione visiva con una trama episodica così ben concepita è una crisi allucinatoria-delirante, che non è certo lo stato mentale migliore per inventare, o semplicemente usare, un nuovo codice di scrittura.

Se anche la condizione di eccitazione allucinatoria con associato stato di costruzione delirante non è certo lo stato mentale migliore per una prestazione cognitiva meditata, con la diligente strumentalità psicomotoria necessaria a inventare e compitare nuove lettere distinte da precisi segni diacritici, non resta che supporre che l’epistola sia stata realmente scritta dal diavolo. O, meglio, da persone che si sono spacciate per diavoli. Ossia da uomini che erano stati in grado di entrare nella clausura, dove era precluso l’accesso alle persone del mondo, e si erano fatti passare per demoni, approfittando della presunta credulità di una giovane entrata nell’isolamento claustrale a soli 15 anni dopo l’infanzia vissuta in un isolamento familiare.

In realtà, Crocifissa era la duchessa Isabella Tomasi, figlia del duca di Agrigento Giulio Tomasi principe di Lampedusa e della baronessa di Falconieri e Torretta Rosalia Traina, in grande considerazione presso le gerarchie vaticane. Giulio Tomasi, col fratello Carlo, aveva fatto costruire a Palma di Montechiaro il monastero benedettino di clausura dedicato al SS. Rosario dove Isabella prese i voti, divenne Maria Crocifissa, visse e morì. Furono suore anche le sorelle Francesca e Antonia, e il fratello Giuseppe Maria fu cardinale e divenne santo. La famiglia Tomasi godeva di alta reputazione nel mondo cristiano e di grande considerazione presso lo Stato Pontificio. Il Papa aveva apprezzato molto che i Tomasi avevano ristrutturato il loro Palazzo Ducale trasformandolo in un cenobio attiguo alla Cattedrale, eletta chiesa della comunità religiosa locale costituita dalla loro famiglia.

Questo caso di “scrittura inesistente” – come chiamano i linguisti le forme di notazione della lingua soggettive o non condivise – non sembra possa risolverlo la scienza, ma la storia. Verosimilmente, un gruppo di potere dei tanti che non gradivano la politica vaticana di quegli anni troppo debole, permissiva, tollerante e incline al perdono di sovrani nemici, voleva far giungere al Papa un messaggio forte di disapprovazione mediante l’escamotage della “lettera demoniaca” firmata da un’esponente di una famiglia importante che, in tal modo, avrebbe minacciato di passare dalla parte di Satana se lo Stato Pontificio avesse continuato con la sua “eccessiva misericordia”. Anche se ben congegnato e realizzato con uomini che avevano recitato bene la parte dei diavoli, il piano fallì perché Crocifissa, al secolo duchessa Isabella Tomasi, non firmò, e lasciò a quel testo il ruolo che meritava: una finzione degna di una farsa. [BM&L-Italia, luglio 2024].

 

Notule

BM&L-06 luglio 2024

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[1] A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, p. 96, Flaccovio, Palermo 1963.

[2] Giorgio Raimondo Cardona, Storia Universale della Scrittura, p. 90, Edizione CDE su licenza Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1986.

[3] Giorgio Raimondo Cardona, op. cit., pp. 90-91.